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TURISMO

Informazioni culturali del territorio


 
LA MEMORIA DELLA LINEA GUSTAV SUL TERRITORIO
 
Categoria: Beni culturali immateriali » La Memoria

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Piedimonte San Germano

Il 19 luglio 1943 Piedimonte si trovò coinvolto nei bombardamenti per la sua vicinanza all’aeroporto militare di  Aquino. Piedimonte, caposaldo della linea di sbarramento Hitler, è stato teatro do operazioni belliche di grande portata per lunghi dolori otto mesi dopo l’armistizio. Buona parte della popolazione pedemontana si sparpagliò nelle varie grotte e negli anfratti lungo il fossato di Sant’Amasio, ritenuti posti più sicuri. Il 27 novembre 1943 le squadre tedesche invasero tutte le vie e ci fu un rastrellamento con la conseguente partenza per un ignota destinazione. Molte furono le famiglie che in quel caos furono smembrate. Grida di addio si udivano fortemente, era il pianto di coloro che lasciavano la casa per non farvi più rientro. Alcuni paralitici furono brutalmente maltrattati e gettati sugli autocarri. Tutti furono presi a spintoni e caricati come balle. Quei carichi umani viaggiarono senza conoscere la sorte che attendeva Piedimonte. Parecchi cittadini, sfidando la morte, riuscirono a prendere di corsa la via della montagna. A sera, il paese era deserto e i soldati divennero i padrone assoluti di tutte le cose. Il viaggio dei poveri deportati si concluse parte ad Alatri, parte a Fiuggi, parte a Ferentino. Parecchi furono fatti proseguire per l’Italia settentrionale. Sulle montagne nacque una vera e proprio colonia di Pedemontani. In quelle poche casette coloniche, sparse alle falde del monte Cairo, dovettero trovare rifugio moltissime persone. Durante il bombardamento di Montecassino, il comando tedesco, di stanza nel casino del prof. Paolo Frezza, emise un ordine col quale veniva fatto espresso divieto a chiunque di rimanere sulla montagna, divenuta zona di fuoco. I piedimontani dovettero affrontare questo nuovo problema e si decise per la fuga verso Arce, Arpino e Alatri: anche l’addio a quelle catapecchie fu assai triste. Nel maggio del 1944 il cielo di Piedimonte era sempre nero di fumo: l’obiettivo degli Alleati era di snidare i tedeschi da quelle posizioni di privilegio in cui si erano cacciati. In quei giorni nessuna casa fu risparmiata e Piedimonte divenne un gigantesco ammasso di pietre e polvere. Il 24 maggio, Piedimonte veniva finalmente occupato. Alla sua liberazione seguì quella dei paesi vicini. Nei primi giorni della liberazione, il desiderio di far ritorno alla propria terra divenne una febbre irresistibile. Famiglie di profughi, seguendo le vie dei campi o dei monti, per tenersi ben lontane dalle strade principali, lentamente a tappe, si dirigevano verso Piedimonte. Purtroppo in ogni luogo si incontrava la truppa Alleata, la quale ordinava l’immediato trasporto dei profughi verso il sud, perché in mezzo a tante rovine non c’era possibilità di vita. Solo chi dimostrava di avere possibilità di alloggio poter far rientro: così il paese cominciò a ripopolarsi di famiglie per la maggior parte smembrate. Ma già fin dai primissimi giorni del rimpatrio, i poveri cittadini di piedimonte ebbero a lottare con un altro nemico terribile, la malaria. Nel pomeriggio del 30 marzo 1947, il Capo dello Stato, On. Avv. Enrico De Nicola, di ritorno dalla visita a Cassino, volle portarsi a Piedimonte per rendere omaggio ai suoi caduti.