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TURISMO

Informazioni culturali del territorio


 
MONASTERO DELLE CLARISSE EREMITE A FARA IN SABINA
 
Categoria: Beni culturali materiali » I Monasteri

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Fara in Sabina

La cucina

Poche sono le cucine conservate nella loro integra bellezza. Principali caratteristiche, i diversi tipi di forni e di fuochi per le varie cotture, le pietre scolpite dei piani, dei lavelli, in maniera da creare drenaggi o contenimento. Quasi sempre si tratta di grandi spazi, grandi cappe, con particolari canalizzazioni per aerazioni, comunicazioni con pozzi e cantine, dispense con varie temperature. Alcune di queste particolarità caratterizzano anche la cucina seicentesca del Monastero delle Clarisse di Fara in Sabina.

Anche le uova e i latticini erano consentiti e importanti erano i legumi (farro, grano, fagioli), prodotti fondamentali nell’economia del tempo, ed è quasi superfluo ricordare la posizione privilegiata dell’orto nella vita quotidiana dei monasteri. L’importanza delle colture orticole era legata per i monaci, all’osservanza della regola, che imponeva un ampio consumo di ortaggi e legumi. Di ortaggi e legumi era il pulmentum o pulmentarium, la zuppa che le regole monastiche pongono a base nell’alimentazione dei monaci. Gli olera, ortaggi, sono al primo posto nella lista degli alimenti consentiti. La tradizione monastica è caratterizzata da un attaccamento all’orto molto forte. L’orto è una realtà economica, necessaria all’autosufficienza del monastero. E’ inoltre l’ambiente in cui si conserva, si medita, si vive. L’orto ha dunque una duplice funzione; fornisce prodotti alimentari (nutrimenta) ma anche i componenti essenziali dei farmaci medicinali del tempo (virtutes). A quei tempi il carattere empirico della medicina, basata in primo luogo sull’impiego di erbe, ne rendeva ancora più indispensabile la presenza. Soprattutto nei conventi, dove era viva la tradizione del pensiero medico classico, il ruolo farmacologico degli orti, era oggetto di particolari attenzioni.

 

 

Si è tentato di capire alcuni aspetti degli oggetti di rame come pure delle ceramiche, che costituiscono una parte della cultura materiale di questa comunità religiosa, ad esempio: le tecniche di fabbricazione, il loro uso, l’eventuale riciclaggio, le varie riparazioni subite nel tempo. Dalla ricerca è emerso che:

- gli oggetti più che da mensa sono da cucina: pentole di varie forme e dimensioni, con uno o due manici.

- di solito sono stagnate internamente per evitare che l’eventuale formazione di sali di rame velenosi potessero venire a contatto con i cibi.

- i bordi di questi recipienti e i piedi delle cuccume e delle cioccolatiere sono sempre rinforzati con del filo di ferro più o meno spesso, a seconda delle dimensioni e della funzione dell’oggetto.

- quasi tutte le pentole e le padelle sono dotate di un anello, solitamente in ferro, raramente in rame, che serviva per appenderle alle pareti; questo vale anche per alcuni coperchi, sicuramente utilizzati per coprire le caldare, viste le loro dimensioni. Si tratta di oggetti, in alcuni casi piuttosto ingombranti, e che proprio per le loro dimensioni non sarebbero entrati nelle credenze. Tuttavia appendendoli alle pareti le monache avrebbero potuto tenerli, per ovvie ragioni di comodità, in cucina, senza togliere spazio a chi in questo ambiente lavorava quotidianamente.

- alcuni oggetti sono caratterizzati da “toppe” di rame che venivano fissate sulla superficie, evidentemente consunta, con dei chiodi dello stesso materiale e che permettevano il riutilizzo di queste forme. E’ interessante ricordare inoltre che in alcuni documenti dell’archivio del monastero, tra le spese di carattere alimentare e di manutenzione dell’edificio, con una certa frequenza si menzionano anche quelle per le riparazioni del pentolame.

- una buona parte degli oggetti selezionati per questa ricerca, è caratterizzata da macchie di ruggine di colore marrone oppure verde (verderame), dovute al tempo e all’esposizione al biossido di carbonio presente nell’aria; ciò determina la formazione di una patina che sovente ricopre la superficie dei metalli non correttamente conservati.

- in alcuni casi la superficie di questi oggetti è stata decorata a sbalzo; altre volte invece la si è battuta creando dei motivi ornamentali semplici ma in grado di esaltare al massimo il colore di questo metallo. In linea di massima questi recipienti, di uso quotidiano, hanno forme essenziali e decori semplici.

- alcuni recipienti sono caratterizzati da lettere incise che potrebbero riferirsi al nome della monaca, proprietaria dell’oggetto stesso. Coloro che entravano nel monastero infatti si portavano una “dote”, un corredo che poteva essere costituito anche da oggetti di rame, i quali probabilmente rappresentavano il benessere della famiglia alla quale si apparteneva.

 

 

Tra gli oggetti conservati, numerose sono le conche, dette anche catini; questi recipienti in realtà non venivano utilizzati per la cottura dei cibi ma per lavarli. Solitamente gli olera (ortaggi) e i legumi venivano messi a bagno in questi grandi catini e puliti prima di essere consumati; non è un caso che molti di essi siano stagnati all’interno. Anche le stoviglie venivano lavate nelle conche. Numerose le padelle nelle quali si cuocevano riso, uova e pesce, molto utilizzato dalle monache faresi e negli ambienti monastici in genere, e le caldaie per la preparazione di minestre e la cottura dei legumi; i paioli per la polenta e le tortiere, tutte caratterizzate da uno stampo a forma di stella, inciso all’interno, sul fondo. Molto interessanti sono le cioccolatiere, soprattutto se analizzate in un contesto simile; dai confronti fatti si è potuto constatare che risalgono al secolo XIX, cioè ad una epoca nella quale la durezza ed il rigore della vita religiosa erano venuti meno. La comparsa di oggetti come questi deve essere interpretata come un segno del cambiamento nel modo di vivere all’interno di certi ambienti, che è divenuto più permissivo e tollerante. Il modus vivendi delle monache ha inevitabilmente influenzato la loro cultura materiale; i modelli si sono adeguati al lento evolversi delle abitudini alimentari. Nel secolo XVII simili oggetti non sarebbero mai stati accettati in una realtà monastica dura come quella di Fara in Sabina.

 

 

Fonte: Museo Archeologico Fara in Sabina