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TURISMO

Informazioni culturali del territorio


 
CHIESA DI SAN MARTINO A SANTI COSMA E DAMIANO
 
Categoria: Beni culturali materiali » Chiese

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Santi Cosma e Damiano

Storia della Chiesa

 Una chiesa dedicata a San Giovanni Battista, posta nello stesso luogo di quella attuale, fu costruita dai duchi di Gaeta attorno al X secolo; la sua storia si intreccia con quella di molti possedimenti dell' Abbazia di Montecassino, tanto da divenire una “cella” (così vengono definiti i monasteri benedettini) nei secoli successivi.
Ciò si spiega probabilmente con la ricerca di vie alternative alla Ercolanea, che in epoca romana dal Cassinate consentiva l'accesso al mare,  che non si dimostrava più un percorso sicuro per via delle invasioni barbariche e la conseguente contrapposizione tra Bizantini e Longobardi.
Se a questo si aggiungono i forti pedaggi richiesti per il passaggio delle merci in territorio diverso dal proprio, si fa presto a comprendere come gli abati considerassero una via percorribile tale percorso, che attraversando il territorio alle spalle degli Aurunci permetteva di giungere a Suio e quindi alla via fluviale del Garigliano, sbocco naturale del Mar Tirreno.
Fu così che i Monaci attraversando le colline di Coreno, di Ventosa e del Casale di San Damiano decisero che la pace di questi luoghi fosse ideale per costituire un monastero seppur di piccole dimensioni. Qui vissero in stretto contatto con la popolazione, facendo del villaggio una Parrocchia.
Le vicende relative al periodo medievale sono legate a quelle della vicina Castelforte. Tra la fine del XIV° secolo e la metà del XV°, la chiesa modificò la propria intitolazione e fu chiamato monasterium Sancti Martini, nel frattempo era accaduto che i monaci benedettini avevano abbandonato la chiesa (anzi alcuni studiosi collegano tale abbandono con l'intitolazione nuova quasi essa fosse un omaggio alla loro presenza pluerisecolare); la chiesa, che si era arricchita di un trittico su legno raffigurante la Madonna (battezzata del Riposo successivamente) tra San Germano e San Benedetto opera di un anonimo, era pressappoco nelle dimensioni e nelle forme come quella attuale
Per altri due secoli ancora la chiesa conservò le celle monacali e il muro di cinta, almeno fino all'arrivo dei francesi che fecero scempio dell'edificio sacro nel 1799. Vent'anni dopo la Chiesa risorge a nuova vita grazie all'opera del vescovo Francesco Buonomo che decreta la nascita della parrocchia il 3 novembre 1819. Il parroco designato fu Don Camillo Gaveglia, che pur vecchio e in cattive condizioni di salute prese a cuore le sorti di quella casa di Dio; in primo luogo commissionò al notissimo Andrea Mattei il restauro del trittico sopra indicato, poi fece eseguire dallo stesso autore una tela raffigurante San Martino da porre sopra l'altare maggiore, fece costruire una fonte battesimale in travertino e si preoccupò di far fare le fosse per i defunti e di annotare in un registro i nati. Tra i parroci che seguirono ci piace ricordare: Don Giacinto De Meo, giovane e alla sua prima esperienza quando giunge a Ventosa, per il quale al suo trasferimento nel 1916 i parrocchiani firmarono una lettera indirizzata al vescovo dove si chiedeva il suo ritorno altrimenti era preferibile la chiusura della chiesa; Don Minervino Perrino, parroco durante il ventennio fascista, uomo scrupoloso che amava il decoro per cui spesso eseguì lavori di manutenzione alla chiesa, anche quando impossibilitato dalle risorse economiche le ricavava dalla vendita di beni materiali che la gente offriva per aiutarlo.
L'8 settembre del 1943 per i ventosari fu una giornata di festa doppia, durante i festeggiamenti per la Madonna del Riposo arrivò la notizia dell'armistizio e della fine della guerra, nessuno poteva sospettare ciò che sarebbe accaduto di lì a pochi mesi di distanza. I tedeschi piazzarono due batterie antiaeree, una era proprio nei pressi della torre, e pur non occupando con tanti uomini la frazione di Ventosa vi venivano spesso;  il 24 novembre cominciarono una serie di  rastrellamenti delle SS che costrinsero i civili a rifugiarsi in cunicoli di fortuna o in stanze sotto il livello della strada, quasi fossero catacombe cristiane. Saranno lunghi mesi di sofferenza e privazioni che dopo vari attacchi, una serie infinita di bombardamenti tesi a fiaccare il nemico, le decine e decine di morti tra coloro che si avventuravano in cerca della libertà attraversando il rivo minato delle Ravi, porteranno alla liberazione del paese nella serata del 22 maggio. Una volta finita la guerra si cominciò a ricostruire, tante erano gli edifici rasi al suolo, tra questi la chiesa sotto le cui macerie Don Minervino riuscì a recuperare soltanto i registri e i resti del trittico (che misteriosamente scompariranno nel 1960). La chiesa fu riaperta al culto nel 1954, ma i lavori di ricostruzione non erano stati eseguiti ad arte e a questi si aggiunsero i parassiti del legno che ne devastarono le travi della capriata, fu deciso quindi negli anni sessanta di sostituire il legno del tetto con il cemento.